ALTRAVIA & ALTRECOSE
Dirò subito che ho iniziato il viaggio barando. La prima tappa dell’AltraVia sarebbe Torino-Andezeno, ma io abito a Chieri a meno di 800 metri da Andezeno e non mi sembrava il caso di fare un gran trambusto per farmi accompagnare per poi ritornare da dove ero partito.
Quindi la prima tappa per me è iniziata da Chieri: la Chieri-Cortazzone, 26 km di passione affrontati uscendo di casa con uno zaino troppo pieno che contiene tra le altre cose il computer con cui sto scrivendo. Voglio scrivere a caldo, al termine di ogni camminata, senza dilungarmi troppo a descrivere il paesaggio e le meravigliose chiese romaniche dell’anno mille. Infatti della prima tappa che solca una campagna mistica, sovrastata dalla basilica di Don Bosco, la cosa più degna di nota sono gli altarini votivi. Ne avrò contati almeno una quarantina. Alcuni più recenti, dedicati a Don Bosco, alla mamma, agli amici beati e alcuni più antichi, dedicati alla Madonna, alla Vergine, alla Consolatrice, ai Santi; tutti con unico comune denominatore: la paura. Questi altari devono la loro presenza sul territorio per il terrore fottuto degli abitanti che li ergevano per ingraziarsi l’intercessione presso le alte sfere del Paradiso. Alcuni servivano per il raccolto, altri per scongiurare gli incidenti nei campi dovuti al trattore ribaltato o ad un cavallo riottoso, altri ancora per allontanare il Maligno. Questo notevole numero di altari piantati nella terra come novelli “menhir” suggeriscono al viandante una sola cosa: scappa! Stai percorrendo una terra maledetta!!! Al pari o ancor peggio del Maine di Stephen King. Una Salem Sabauda dove i vampiri dicono “nè” al fondo di una frase prima di succhiarti il sangue.
Mentre pensavo queste cose in preda all’ inquietudine ed alla fatica mi guardavo attorno ed i campi erano pieni di girasoli a capo chino, rinsecchiti. La teoria di prima aveva un senso. Quanto sono inquietanti i campi di girasole rinsecchiti! Sembrano un orda di vegetali-zombie pronta a morderti. Sembrano proprio delle legioni di zombie affamati. Meno male che hanno le radici. Comunque mentre mi allontano li tengo d’occhio, ogni tanto mi volto. Allungo il passo e sono a Cortazzone, salvo.
La seconda tappa è Cortazzone-San Damiano D’Asti di 24 km, un percorso dolce dove scompaiono i terrificanti girasoli e si entra nel territorio della nocciola Piemonte. Cammini e vedi piante di nocciole ovunque. In effetti le nocciole da qui vanno in giro per il mondo a conquistare gli intestini di tutti i popoli della Terra. Vi entrano per mezzo di dolci, torte, snack e la famigerata Nutella. Si annidano nei diverticoli. C’è un po’ di Piemonte in ognuno di voi, sappiatelo. Inoltre durante questo tragitto ho imparato che le canne di bambù, quando hanno le foglie mosse dal vento, fanno il rumore dell’acqua di un ruscello che scorre. Ho imparato anche che le Aziende Faunistico Venatorie della provincia di Asti hanno nomi di donna. Ho incontrato “Daniela”, “Nicoletta”, “Anna”: una cosa a cui non avevo mai fatto caso. L’uomo è cacciatore, ma la proprietà di ciò che viene cacciato è donna! Mi viene in mente la mia ex-moglie e non posso che essere d’accordo. Perso in questi pensieri sono quindi giunto a San Damiano, paese in cui, secondo il detto, abitano quelli che tirano le pietre, ma poi nascondono la mano. Il paese di quelli che fanno i provocatori, ma quando è ora di battagliare scappano. Quelli che scatenano le risse ma poi fanno gli gnorri, insomma avete capito. Nonostante questo, è un bel posto dove passare la notte.
La terza tappa è San Damiano d’Asti-Alba di 23 km, sarà stato il caldo torrido o la botta dei chilometri che si fanno sentire in tutta la loro greve pesantezza, sbaglio subito strada e mi dirigo verso Govone prendendo un sentiero che percorre una bellissima vallata piena di filari coltivati che mostrano i grappoli d’uva maturi. Si passa, da un giorno all’altro, dalla nocciola all’uva e ci si addentra nei territori dove nascono i vini tra i più pregiati del mondo ( i Francesi si arrabbieranno, ma sticazzi ). Noto subito che il sole è già alto e che le colline, che per definizione dovrebbero essere basse, non sono per niente così come le descrivono ed è faticosissimo raggiungere la cima. Forse sarà stata un’allucinazione uditiva, ma i campi di mais appena tagliato mi sembrano crepitare sotto il sole come un caminetto acceso d’inverno in montagna. Raggiunta la cima si vede il ripetersi delle colline che sfumano sino all’orizzonte che rendono il paesaggio delle Langhe così caratteristico. In fondo alla piana si intravede Alba. Già mi gusto la scorpacciata di cibo e vino che mi farò questa sera. Inizia un lungo avvicinamento ad Alba sotto un sole penetrante. Più di 15km che mi prosciugano, mi cuociono e mi fanno venire due labbra secche e gonfie come quelle fatte da un cattivo chirurgo plastico, ma realizzate in legno. Giungo ad Alba distrutto. Non rinuncio alla cena con tagliatelle, brasato e un bicchiere di buon Nebbiolo. Alla fine svengo.
La quarta tappa è Alba-Bossolasco di 24 km, ma avendo barato all’inizio, ormai ci ho preso gusto, ma questa volta in negativo, così per risparmiare qualcosa sul pernotto aggiungo almeno 6 km ed una nuova salita per raggiungere Feisoglio. Se ieri faceva un caldo torrido, oggi piove e la salita tra i filari di vite risulta decisamente più lieve. La pioggia diventa più intensa e in un attimo ho anche le mutande bagnate. Le colline delle Langhe sotto la pioggia autunnale sono magiche e man mano che si sale la vista viene rivelata: una magia ammantata di nebbie che diventa ancora più bella quando un sole si affaccia tra le nuvole facendo filtrare raggi di sole come lame affilate che si conficcano nella terra. Arrivato a Feisoglio mi accorgo che non ho nulla da mangiare. E’ umido e dubito che le mutande si asciugheranno in tempo. Nella casa che ho affittato c’è un avanzo di pasta ed una scatoletta di tonno: la cena!
La quinta tappa è Feisoglio-Ceva di circa 28 km grazie alla mia tutt’altro che geniale intuizione di modificare il percorso. Il verde ed i boschi pian piano prendono la spazio dei filari e ad ogni paese vi è un monumento in omaggio ai partigiani. Le Langhe piemontesi tutte e l’Alta Langa in particolare sono stati i luoghi dove la resistenza permeava interi paesi. I luoghi di Beppe Fenoglio dove ogni “crutin”, anfratti scavati nella terra per conservare i cibi ed il vino, erano un nascondiglio sicuro. La libertà ti viene suggerita solo dal guardare il paesaggio. Nessun totalitarismo avrebbe attecchito qui. Così sono più ottimista anche pensando all’oggi, dove recrudescenze di un passato che ormai sembrava dimenticato tornano a fare capolino. Mi piace pensare che questa campagna illuminata ancora una volta saprà esserci scudo, contro la barbarie, l’indifferenza e la disumanità. Camminando tra l’odore di funghi e colori che iniziano a diventare autunnali si aprono davanti a me distese coltivate a lavanda. Non sapevo che l’Alta Langa avesse anche un ampio distretto dedicato alla coltivazione di questo profumatissimo fiore. Inebriato arrivo a Ceva. Dormo nella zona industriale, fine della poesia.
La sesta tappa è Ceva-Millesimo di circa 25 km ai quali ne aggiungerò altri 6 km involontariamente. Inerpicandomi in un fitto bosco un cartello girato mi fa sbagliare completamente direzione, inizia così una serie di salite e discese insensate, fuori dal sentiero e fuori da ogni possibilità di capire la direzione. Salgo verso la sommità di una piccola montagna per vedere dove mi trovo, sono una vallata fuori strada: che rabbia! Mentre cerco compulsivamente la via corretta sento grugnire nella boscaglia, si concretizza uno dei momenti che ho sempre temuto: l’incontro con l’ottavo re di Roma: il cinghiale. Allungo il passo, faccio rumore, ma lo sento sempre alle calcagna. Mentre provo a immaginare cosa avrei fatto quando me lo sarei trovato davanti, ritrovo il sentiero, ritrovo la fiducia, perdo il rumore del cinghiale, continuo con sempre più foga, esco dal bosco cambio vallata, supero nell’ordine una panchina gigante, un cuore gigante, un ponte piccolo e stretto e sono a Millesimo.
La settima tappa è Millesimo-Cascina Miera ( Cairo Montenotte Superiore ) di circa 24 km comincio presto perché ormai la conclusione di questo viaggio è vicina, si inizia subito con una piacevole e ripida salita che porta al Castello di Cosseria. Castelli ne ho visti molti e di vario genere ma questo per me rimarrà sempre magico per molti motivi, il primo perché è completamente isolato in cima ad una collina attorniata da un fitto bosco e, quando si sta per arrivare, il sentiero si allarga in una strada di pietra che in un attimo ti sembra di essere entrato a “Frittole” come nel film “Non ci resta che piangere”. Si prosegue costeggiando una semplice cinta muraria che mi ricorda molto quella su cui un caro amico mi ha portato a pisciare nei pressi di Parma, dopo una sbronza colossale, dicendomi che era il castello in cui avevano girato il film “Lady Hawke”, quello con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer, quello in cui lei si trasforma in falco. Girato l’angolo al termine della muraglia, si è accolti da uno stretto ingresso dove campeggia una targa in marmo. La targa porta la data in cui fu posta: 26 Ottobre 1866. Il testo è come l’inizio di un poema epico in cui è il castello stesso che parla: “Cosseria mi dà il nome, fui freno un dì alle rapine dei Saraceni e sede illustre dei Marchesi del Carretto. Ebbi lunghi assedi e feroci assalti e l’onore di molte vittorie. Fui già celebre nel secolo XII…” e qui parte un elenco di numerosissime battaglie di cui la maggior parte degli uomini moderni ha quasi perso memoria per poi concludersi con “…mi arrese a patti onorevoli Napoleone Bonaparte che tosto schiuse le porte d’Italia all’esercito Francese”. Mi guardo attorno in quel piccolissimo luogo, con pochi ruderi all’interno e ampi spazi progettati per l’accamparsi di antiche truppe, mi è quasi impossibile da credere che in un epoca lontana questo posto potesse essere così militarmente importante, mentre oggi non è che un cumulo di pietre abbandonate nel verde. Quante persone avevano dato la vita per conquistarlo e quante per difenderlo? In questa epoca non è che un luogo buono per farci il picnic fuori porta la domenica pomeriggio. E mentre mi aggiravo all’interno delle mura sono salito sulla torre, in parte ricostruita nella parte lignea, e affacciandomi per vedere il panorama, nello spazio tra due montagne, ho visto il mare.
BOOM!
Dopo tutti questi chilometri me lo trovavo agli occhi inaspettatamente, pensavo che lo avrei visto soltanto il giorno successivo e invece era lì davanti a urlarmi in faccia tutta la sua potenza. Mi sono sentito per un attimo come Novecento, il personaggio di Alessandro Baricco, quando scende dalla nave, su cui aveva vissuto tutta una vita, per poter vedere il mare. Perché il mare, quando fai tutti quei chilometri a piedi per vederlo, non solo urla, ma ti parla e ti racconta un segreto. Ora non sto lì a rivelarvi cosa mi ha detto, non vorrei banalizzare, ma questo posso dirlo: il mare parla semplice e caustico come un vecchio marinaio dal cervello aguzzo, dice cose molto piccole che in fondo potevi arrivarci anche da solo, ma non l’avevi mai fatto. Quando ti parla, le sue parole sferzano ogni fragile costruzione che avevi nella testa per mettere al riparo i tuoi pensieri e spazzano via tutto. Quando l’onda passa, rimangono in piedi solo i pensieri più forti. Quelli che hanno saputo tenere testa al mare.
Mi lascio il castello alle spalle, vuoto e pieno allo stesso tempo. Supero Cairo e mi infilo nello splendido Parco dell’Adelasia, infine raggiungo il rifugio Cascina Miera. Un rifugio sull’Appennino ligure con una terrazza che volge lo sguardo indietro verso la strada percorsa. Dove tutte le emozioni di questa giornata trovano un degno luogo per il riposo.
L’ottava e ultima tappa è Cascina Miera ( Cairo Montenotte Superiore )-Savona di circa 17 km. Si parte percorrendo ancora un pezzo di parco dell’Adelasia, un bosco romantico che prende il nome dall’omonima rocca. Adelasia era la figlia dell’imperatore Ottone I di Sassonia, fuggì in Liguria con l’amato Aleramo, lo scudiero che aveva sposato contro il volere del padre, e proprio in questi boschi aveva trovato rifugio dalla collera paterna. Lasciato alle spalle un parco ne comincia subito un altro. Il Parco Eolico di Savona dove torri giganti alte più di settanta metri portano enormi pale mosse dal vento. Passarci sotto è maestoso, magari da qualche parte c’è un novello Don Quijote che si getta nella battaglia inseguito da un povero Sancho Panza, ma io oggi non posso proprio farmi distrarre da queste costruzioni enormi: c’è il mare che mi attende. Una lunga discesa avendo sempre il mio obiettivo blu diritto davanti. Ogni tanto si sente la sirena di una nave, come se mi esortasse ad andare più veloce. Non riesco proprio a fermarmi e davvero in poco tempo entro in una bellissima Savona che mi accoglie con i suoi carrugi fino alla Darsena. Non riesco a fermarmi e proseguo. Supero il centro e mi dirigo verso le spiagge. La gente prende il sole in costume e si gode qualche bagno tardivo. Non si può accorgere di questo signore che si avvicina con i pantaloni lunghi e gli scarponi da montagna, che porta un grosso zaino sulle spalle. Cammino sulla sabbia e così, vestito, entro nel mare.
Mettere gli scarponi nel mare ha chiuso questo bellissimo viaggio, avrei avuto quasi la voglia di lasciare tutto sulla spiaggia ed iniziare a nuotare. Che senso di leggerezza!
Oltre 200 km, 32 litri d’acqua ingurgitati, 24 bustine di integratori, antidolorifico q.b. ( come nelle ricette degli chef ) ed è fatta. Mi tolgo i vestiti e rimango in mutande, mi sdraio sulla sabbia e lascio che il sole mi riscaldi ancora.